Yamato e Musashi, le corazzate gemelle del Sol Levante

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Yamato e Musashi insieme in navigazione
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Yamato e Musashi, le corazzate gemelle del Sol Levante. Erano il vanto della marina imperiale giapponese, incarnavano il mito e la potenza militare nipponica tanto che nel paese a lungo si credette nella ‘leggenda’ che, fin quando questi due colossi d’acciaio fossero stati in grado di combattere, la guerra non sarebbe stata persa. Dopo la fine del II conflitto le due corazzate sono rimaste nella storia, protagonista di film e cartoni animati la Yamato, al centro di una pazzesca missione di ricerca del suo relitto la Musashi. Nel piano della marina militare giapponese c’era anche una terza nave gemella, la Shinano, che tuttavia prima del varo venne trasformata in portaerei. Furono gli stessi giapponesi, con l’attacco di Pearl Harbor, a decretare la fine delle grandi navi corazzate e far entrare la guerra in mare nel ventesimo secolo con l’uso delle portaerei. I giapponesi La Shinano non vide mai il suo primo impiego operativo; nel 1944 mentre era ancora nella fase finale dell’allestimento si decise di spostarla nel porto di Kure per terminare i lavori in una zona più sicura. Durante il trasferimento venne intercettata dal sottomarino Uss Archerfish che la affondò con quattro siluri.

La portaerei shinano

La portaerei Shinano

Classe Yamato, caratteristiche tecniche

La Yamato nel bacino di carenaggio

La Yamato nel bacino di carenaggio

Yamato e Musashi avevano una lunghezza fuori tutto di 263 metri, una larghezza massima di 38,92 metri e un pescaggio di 10,79 metri; il dislocamento a vuoto era pari a 63 312 tonnellate (50mila la Bismark, 58mila la Missouri), la stazza a pieno carico a 71 112 tonnellate. L’equipaggio era composto da 2.300 marinai. L’impianto motore era formato da dodici caldaie Kampon, quattro turbine a ingranaggi a vapore Kampon, quattro alberi motore con elica: con una potenza di 150 000 shp sviluppava 27,5 nodi massimi e garantiva un’autonomia massima di 7 200 miglia a 16 nodi (13 334 chilometri a 30,4 chilometri orari). L’armamento era composto da nove cannoni da 460 mm da 45 calibri (L/45) in tre torri trinate (erano i cannoni più grandi mai montati su una nave da guerra), dodici cannoni Type 3 da 155 mm L/60 in quattro torri trinate, dodici cannoni Type 89 da 127 mm L/40 contraerei in sei impianti, ventiquattro cannoni Type 96 da 25 mm L/60 (otto installazioni trinate) e a quattro mitragliatrici pesanti Type 93 da 13,2 mm; erano infine disponibili sette idrovolanti. La corazzatura era importante: 410 mm alla cintura, ponte 200-230 mm, barbette da 550 mm (fronte) a 410 mm (fianchi), torrette da 660 mm a 240 mm. All’entrata in servizio l’equipaggio contava 2.300 uomini.

La Yamato (大和)

La Yamato in mare

La Yamato in navigazione

La corazzata Yamato prese il nome dall’omonima provincia giapponese dell’antichità. La costruzione iniziò nel 1937 per rispondere alle pari classe degli Stati Uniti, e ristabilire gli equilibri militari nel predominio del Pacifico.

Negli anni ’30 il governo giapponese adottò una militanza ultranazionalista con l’obiettivo di espandere notevolmente l’impero. Nel 1934 si ritirò dalla Società delle Nazioni, rinunciando ai suoi obblighi derivanti dai trattati. Fu a questo punto che la Marina imperiale giapponese iniziò la progettazione della nuova classe Yamato di corazzate pesanti. L’idea era che le navi della classe Yamato potessero ingaggiare più corazzate nemiche contemporaneamente. La chiglia della Yamato, la nave di punta della classe, fu posata presso l’Arsenale navale di Kure, Hiroshima, il 4 novembre 1937; il cantiere fu adattato per ospitare l’enorme scafo. La Yamato venne varata l’8 agosto 1940, con il capitano (in seguito vice ammiraglio) Miyazato Shutoku al comando. Durante l’ottobre o novembre 1941 la Yamato fu sottoposta a prove in mare, raggiungendo la sua velocità massima possibile di 27,4 nodi. All’inizio della guerra, la priorità fu data all’accelerazione della costruzione militare.

La Yamato entra in servizio

Gli ufficiali in comando sulla Yamato

Ufficiali in comando sulla Yamato

Il 16 dicembre, mesi prima del previsto e una settimana dopo l’attacco di Pearl Harbor, la corazzata entrò ufficialmente in servizio a Kure, in una cerimonia più austera del solito, poiché i giapponesi erano ancora intenti a nascondere le caratteristiche della nave. Il 12 febbraio 1942, divenne l’ammiraglia della flotta giapponese, comandata dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto.  Yamamoto, vincitore di Pearl Harbor, stava pianificando il colpo di grazia alla Marina degli Stati Uniti nelle isole Midway. Ma il piano dell’ammiraglio venne intercettato dall’intelligence della flotta Usa nel Pacifico e la battaglia di Midway si rivelò disastrosa per la forza portante giapponese, con quattro portaerei e 332 aerei persi. La Yamato era troppo lontana per prendere parte allo scontro. Così Yamamoto ordinò di rientrare in  Giappone alla flotta rimanente.

Successivamente nell’agosto 1942 la corazzata prese parte alla campagna di Guadalcanal, ma non entrò in azione per la mancanza delle munizioni da 46 cm e della scarsità di carburante. Nel febbraio del 1943 la Yamato cedette la bandiera dell’ammiragliato alla gemella Musashi, e passò buona parte dell’anno del cantiere di Kure, dove venne migliorata la sua dotazione di armi antiaeree per fare fronte alla potenza sempre crescente degli aerei americani. In quest’anno venne impiegata nuovamente assieme alla gemella Musashi, per proteggere le isole Marshall e le isole Gilbert, senza però mai giungere a contatto con le forze americane e restando a Truk per la maggior parte del tempo. Il 24 dicembre 1943 fu gravemente danneggiata da un siluro del sommergibile USS Skate ed i lavori di ripristino si conclusero solo nell’aprile 1944. Furono lavori sostanziali, visto che due delle torrette da 155 mm furono rimosse e sostituite da ulteriori armi antiaeree. Tornata in servizio, prese parte alla battaglia del Mare delle Filippine (giugno) e a quella al largo di Samar, parte della più vasta del Golfo di Leyte (ottobre); qui, per la prima volta, fece uso del suo armamento principale, sparando 104 colpi da 460 mm e, probabilmente, colpì un cacciatorpediniere ed una portaerei.

Tra il 22 e il 25 ottobre 1944, come parte della Center Force dell’ammiraglio Takeo Kurita (noto anche come Force A o First Striking Force), Yamato prese parte a uno dei più grandi impegni navali della storia: la battaglia del Golfo di Leyte. In risposta all’invasione americana delle Filippine, l’operazione Shō-Gō richiese a un certo numero di gruppi giapponesi di convergere sull’isola di Leyte, dove stavano sbarcando le truppe americane. Il 18 ottobre, Yamato venne dipinta di nero per transitare il più possibile inosservata nello Stretto di San Bernardino. Il giorno successivo la Yamato venne colpita con due bombe perforanti ma subì danni moderati e fu in grado di combattere. Gli attacchi americani si concentrarono sulla gemella Musashi che affondò dopo essere stata colpita da 17 bombe e 19 siluri. Grazie a uno stratagemma, il 24 ottobre, la flotta giapponese si trovò per la prima volta in superiorità. La Yamato fece valere il fuoco delle sue potenti bocche da 46 e ingaggiò bersagli di superficie nemici per l’unica volta nella sua carriera, colpendo diverse navi americane. Successivamente individuata però, la corazzata fu costretta ad allontanarsi dai combattimenti per evitarli e non fu in grado di riprendere la battaglia. Dopo lo scontro, la Yamato e i resti delle forze imperiali tornarono in Brunei. Ci si avvicinava rapidamente all’epilogo: il 15 novembre 1944, la prima divisione corazzata fu sciolta e la Yamato divenne l’ammiraglia della seconda flotta. Il 21, mentre transitava nel Mar Cinese Orientale in ritirata verso la base navale di Kure, la Yamato fu attaccata dal sottomarino USS Sealion. La corazzata Kongō e il cacciatorpediniere Urakaze che erano in formazione con lei furono persi. La Yamato fu immediatamente portata in bacino per riparazioni e aggiornamenti antiaerei quando raggiunse Kure, dove furono sostituiti molti dei più vecchi cannoni antiaerei della corazzata.

L’ultima missione della Yamato

La Yamato sotto attacco

Le manovre evasive della Yamato sotto attacco

L’ultima missione della Yamato fu l’Operazione Ten-Go decisa a seguito dell’invasione di Okinawa (1º aprile 1945). La flotta giapponese fu mandata all’attacco degli americani che appoggiavano lo sbarco nella parte occidentale dell’isola. Lo scopo era quello di allontanare da Okinawa le portaerei per favorire l’attacco dei kamikaze. Se fosse riuscita a raggiungere Okinawa, la Yamato sarebbe dovuta andare ad arenarsi tra Hagushi e Yontan per combattere sino all’ultimo come batteria costiera, in appoggio ai difensori dell’isola. Doveva essere una missione senza ritorno. La Yamato e la sua scorta lasciarono il porto di Tokuyama il pomeriggio del 6 aprile 1945. La mattina del 7 aprile la squadra fu avvistata all’uscita del Mare interno di Seto da due sottomarini USA e da un ricognitore della portaerei Essex.

La Yamato colpita da una bomba

La Yamato colpita da una bomba

Verso mezzogiorno, una forza di quasi 400 aerei americani della Task Force 58, in ondate successive, attaccò le unità giapponesi. Alle 12:41 la Yamato fu colpita dalle prime due bombe. Complessivamente fu centrata da almeno 13 siluri – agli aerosiluranti era stato ordinato di colpire la nave da un solo lato per causarne il capovolgimento – e 10 bombe prima che, verso le 14:20, esplodesse il deposito munizioni. La nave si appoggiò sulla murata sinistra e affondò a circa 370 miglia nautiche da Okinawa. L’inabissamento fu rapido anche a causa del distacco quasi contemporaneo delle tre torri principali, scardinate dal ponte dal loro stesso peso. Nell’affondamento persero la vita circa 2.375 uomini; 269 i sopravvissuti. Delle navi della sua scorta, furono affondati quattro cacciatorpediniere e l’incrociatore leggero Yahagi. Gli americani persero 10 aerei e 12 piloti. Il relitto si trova a 290 chilometri a sud-ovest di Kyushu sotto 340 metri di acqua in due parti principali; una sezione di prua che comprende i due terzi anteriori della nave e una sezione di poppa separata e capovolta.

L'esplosione della Yamato

L’esplosione della Yamato

Il ‘culto’ della Yamato

Per anni si è parlato dell’opportunità di recuperare il relitto della Yamato per onorare i caduti. Ma da sempre il ‘culto’ di questa nave ha segnato il paese. Fin dal momento della loro costruzione, Yamato e la gemella Musashi hanno avuto un peso significativo nella cultura giapponese. Le corazzate rappresentavano l’epitome dell’ingegneria navale imperiale e, a causa delle loro dimensioni, velocità e potenza, incarnavano visibilmente la determinazione e la prontezza del Giappone a difendere i suoi interessi contro le potenze occidentali. A distanza di anni, la Yamato viene ancora ricordata in varie forme, tra cartoni, film, modelli e un museo, allestito nei cantieri di Kure. Nell’ottobre 1974, Leiji Matsumoto creò una nuova serie televisiva, Space Battleship Yamato, sulla ricostruzione della corazzata come nave stellare e sulla sua ricerca interstellare per salvare la Terra. La serie è stata un enorme successo, generando otto lungometraggi e altre quattro serie TV, la più recente delle quali è stata rilasciata nel 2017. La serie ha reso popolare l’opera spaziale. Mentre i giapponesi del dopoguerra cercavano di ridefinire lo scopo della loro vita, Yamato divenne un simbolo di eroismo e del loro desiderio di ritrovare una sorta di orgoglio nazionale dopo la sconfitta del loro paese nella guerra. Portata negli Stati Uniti come Star Blazers, la serie animata si è rivelata popolare in tutto il mondo.

Musashi, la seconda ammiraglia

La visita dell'imperatore Hiro Hito alla Musashi

La visita dell’imperatore Hiro Hito sulla Musashi

La corazzata Musashi (武 蔵), come la sorella Yamato prese il nome dall’omonima provincia giapponese. Entrò in servizio a metà del 1942, e rilevò appunto la gemella nel ruolo di ammiraglia della flotta. Dall’inizio del 1943 la Musashi fu impiegata a lungo con le altre navi giapponesi nell’infruttuosa ricerca di forze americane. Fu usata più volte per trasferire forze ed equipaggiamenti tra il Giappone e varie isole occupate nel 1944. All’inizio del 1944, su silurata da un sottomarino americano, e costretta a tornare in Giappone per le riparazioni, durante le quali la marina aumentò notevolmente il suo armamento antiaereo. Era presente durante la battaglia del Mar delle Filippine a giugno, ma non è entrata in contatto con le forze di superficie americane. La Musashi fu affondata dopo essere stata colpita da 19 siluri e 17 bombe lanciate dagli aerei decollati dalle portaerei americane il 24 ottobre 1944 durante la battaglia del Golfo di Leyte. Più della metà del suo equipaggio è stata salvata.

Dotata in partenza dello stesso equipaggiamento della Yamato, nel tempo anche la Musashi subì modifiche che potenziarono la capacità offensiva antiaerea. In più la corazzata aveva due catapulte sul cassero e poteva stivare fino a sette idrovolanti nel suo hangar sottocoperta.

La costruzione della Musashi

La corazzata era enorme. Lo scalo di alaggio venne rinforzato proprio per far fronte a peso e dimensioni. La chiglia fu posata il 29 marzo 1938 nel cantiere navale Mitsubishi di Nagasaki e fu designata “corazzata n. 2”. Durante tutta la costruzione, una grande tenda di corda di canapa del peso di 450 tonnellate impediva agli estranei di vedere la costruzione. Anche il varo presentava problemi. La piattaforma di lancio della nave spessa 4 metri, composta da nove assi di abete Douglas da 44 cm imbullonate insieme, venne montata in due anni a causa della difficoltà nella perforazione fori per bulloni perfettamente diritti attraverso 4 m di legno fresco. Il problema di rallentare e fermare l’enorme scafo venne risolto attaccando 570 tonnellate di catene pesanti su entrambi i lati dello scafo per creare resistenza al trascinamento nell’acqua. Il varo venne nascosto all’intera cittadinanza per evitare fughe di informazioni. L’ingresso di una massa così grande nell’acqua causò un’onda alta 120 centimetri, che spazzò porto e fiumi locali, allagando case e capovolgendo piccole barche da pesca. Verso la fine dell’allestimento, le strutture della corazzata vennero modificate perché la Musashi diventasse l’ammiraglia della flotta e ospitasse il comandante in capo della flotta giapponese.

La Musashi entra in servizio

La Musashi in navigazione

La Musashi in navigazione

Musashi entrò in servizio a Nagasaki il 5 agosto 1942 e assegnata alla I Divisione Corazzata insieme a Yamato, Nagato e Mutsu. A febbraio 1943 divenne l’ammiraglia della flotta, comandata dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto. Ad aprile dello stesso anno, Yamamoto venne chiamato a Rabaul in Nuova Bretagna, per dirigere personalmente “Operazione I-Go”, un’offensiva aerea giapponese nelle Isole Salomone. I suoi ordini furono intercettati e decifrati dall’intelligence Usa; il suo aere venne intercettato e abbattuto dai caccia americani Lockheed P-38 Lightning; Yamamoto perse la vita. Il 23 aprile, i suoi resti cremati furono riportati in aereo a Truk e collocati nella sua cabina a bordo della Musashi. Il 1943 fu trascorso a cercare occasioni di ingaggio per la flotta americana. Lentamente il Giappone stava perdendo il predominio nel Pacifico. Il 24 giugno, durante la revisione presso l’arsenale navale di Yokosuka, la Musashi venne visitata dall’imperatore Hirohito e da ufficiali di alto rango della marina. Dopo un’estate passata in cantiere per migliorie ad armamenti e radar, a metà ottobre, in risposta ai sospetti di incursioni americane pianificate su Wake Island, la corazzava venne inviata alla guida di una grande flotta – tre portaerei, sei corazzate e 11 incrociatori – per intercettare le forze americane; non riuscì a prendere contatto e tornò a Truk dove rimase fino al 10 febbraio 1944, quando tornò a Yokosuka.

La battaglia del Golfo di Leyte e l’affondamento

La Musashi in battaglia

La Musashi in battaglia

Il 12 agosto 1944 il capitano Toshihira Inoguchi sostituì Asakura al comando di Musashi e fu promosso contrammiraglio il 15 ottobre. Tre giorni dopo, salpò per la baia di Brunei, nel Borneo, per unirsi alla principale flotta giapponese in preparazione del contrattacco pianificato contro gli sbarchi americani a Leyte. Il piano giapponese prevedeva che le forze di portaerei di Ozawa attirassero le flotte di portaerei americane a nord di Leyte in modo che la prima forza di diversione di Kurita (nota anche come forza centrale) potesse entrare nel golfo di Leyte e distruggere le forze americane che sbarcano sull’isola. Il 24 ottobre, durante il transito nel Mar di Sibuyan, le navi di Kurita furono avvistate da un aereo da ricognizione della portaerei USS Intrepid. Poco più di due ore dopo, la corazzata venne  attaccata da otto bombardieri in picchiata Curtiss SB2C Helldiver decollati dalla Intrepid alle 10:27. Una bomba da 500 libbre (230 kg) colpì il tetto della torretta 1, non riuscendo a penetrare. Due minuti dopo, la corazzata fu colpita a dritta a centro barca dal siluro di un Grumman TBF Avenger, anche lui della Intrepid. Un’ora e mezza dopo, altri otto Helldivers della Intrepid attaccarono di nuovo la Musashi. Una bomba riuscì a penetrare due ponti prima di esplodere sopra una delle sale macchine; la sala caldaie venne abbandonata, così la nave perse potenza. Tre minuti dopo, nove Avengers attaccarono da entrambi i lati della nave, mettendo a segno tre colpi di siluri sul lato sinistro. Gli americani capirono di poter mettere a segno il colpo e intensificarono gli attacchi. Alle 13:31, la nave fu attaccata da 29 aerei delle portaerei Essex e Lexington. Andarono a segno altri quattro siluri e altre 4 bombe. La nave era pesantemente inclinata, ma ancora reggeva il mare. Nove Helldivers dell’Enterprise tornarono attaccando con bombe perforanti da 1.000 libbre (450 kg), ottenendo quattro centri. Era il prologo della fine: alle 15:25 si lanciarono sulla Musashi 37 aerei dalle Intrepid, Franklin e dalla portaerei Cabot. La nave fu colpita da 13 bombe e altri 11 siluri. Dopo un’agonia durata oltre quattro ore, la corazzata si inabissò. Inoguchi scelse di morire affondando con la sua nave ; 1.376 dei suoi 2.399 uomini dell’equipaggio furono salvati: la metà furono evacuati in Giappone e il resto prese parte alla difesa delle Filippine.

La Musashi sotto attacco

La Musashi sotto attacco

La caccia al relitto della Musashi

Come la gemella Yamato, anche la Musashi ha conservato negli anni valore e significato per il Giappone. Pensando fosse affondata per intero, nel tempo emerse la volontà di recuperarla, rimorchiarla su un’isola vicina e trasformarla in un museo della guerra per onorare i caduti. Tuttavia, la scoperta del relitto e dei resti sparsi della corazzata nel 2015 dimostrò che questa impresa non avrebbe mai potuto essere realizzata. Negli oltre 70 anni dal suo affondamento, furono fatti vari tentativi da parte dei cacciatori di relitti di localizzare il relitto della corazzata giapponese, ma nessuno di loro riuscì nell’impresa. La Musashi, come altre navi da guerra giapponesi, non aveva il suo nome sulle fiancate, rendendo così più difficile trovarla per i subacquei e per i cacciatori di relitti. Il team di ricerca sponsorizzato dal co-fondatore di Microsoft Paul Allen alla fine riuscì a trovarla dopo otto anni di ricerca, esaminando vari documenti storici in diversi paesi e utilizzando lo yacht high-tech Octopus e un veicolo telecomandato per aiutarli nella loro ricerca. Il relitto si trova inabissato nel mare di Sibuyan nelle Filippine, a circa 910 metri di profondità. Allen pubblicò sui social una foto che mostrava il sigillo del Crisantemo, simbolo dell’appartenenza alla Marina imperiale. Il riconoscimento della corazzata fu effettuato anche da uno dei superstiti del naufragio.

(foto da Internet)

 

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Seconda guerra
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