Ivan J. Houston:”Noi ‘Buffalo soldiers’ in guerra contro nazisti e pregiudizio razziale”

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«Combattevamo per liberare l’Europa dai nazisti e dai fascisti. Ma anche per sconfiggere la segregazione razziale che c’era nella nostra patria».

Ivan J. Houston, caporale nella 92ª Divisione di Fanteria, durante la Campagna d’Italia oggi ha 93 anni. E’ ancora assolutamente lucido e in forze; da anni torna in Italia, a Lucca per ricordare e incontrare le persone che gli vogliono bene. E per stare in raccoglimento davanti al Volto Santo, statua lignea custodita nella cattedrale di San Martino.

Ivan J. Houston ai tempi della guerra (foto dal libro Black Warriors)

(foto dal libro Black Warriors)

«Un black Jesus – racconta il veterano – non lo avevamo mai visto. Per noi afro americani fu una rivelazione. Avevamo sempre visto le immagini di Gesù biondo e con gli occhi azzurri e fu davvero insolito vedere un Gesù nero, venerato in una chiesa così antica. Un motivo in più per essere legati a Lucca, città che liberammo dopo duri combattimenti contro i tedeschi».

Ivan J. Houston aveva 19 anni quando fu mandato in guerra. Era un giovane studente universitario della California; tornato a casa si è laureato a Berkeley, ed è stato amministratore delegato di una delle più importanti aziende fondate da afro americani degli Stati Uniti. La segregazione di quegli anni nel suo paese, ricorda, era un fardello duro da portare anche in battaglia.

La segregazione dei Buffalo soldiers

Ivan J. Houston durante la sua visita a Lucca nel 2018 reduce della ww2 (foto Paolo Pacini)

Ivan J. Houston durante la sua visita a Lucca nel 2018 reduce della ww2 (foto Paolo Pacini)

«In battaglia – racconta – contro i tedeschi ci facemmo valere; ma era come combattere con una mano legata dietro la                                                             schiena. I nostri ufficiali, anche i più capaci, non potevano comandare soldati bianchi; sapevamo che una volta tornati a casa avremmo incontrato difficoltà. E tutto questo strideva con l’accoglienza che gli italiani ci riservavano ogni volta che entravamo nei paesi liberati. Come a Lucca per esempio: quando entrammo in città nel settembre ’44 i miei compagni in armi incontrarono un gruppo di donne in un vigneto. Spezzammo la loro diffidenza (ci chiamavano ‘i mori’) quando un soldato nero prese sulle ginocchia un bimbo di 5 anni regalandogli della cioccolata. Quel dono fu come un incantesimo, le donne capirono che erano arrivati gli americani, che la città era libera»

Ivan J. Houston ha trasmesso la passione per l’Italia alla sua famiglia; quando torna alloggia nella villa alle porte di Lucca che venne usata come quartier generale del battaglione.

Il ricordo: faccia a faccia con le SS

Ivan J. Houston durante la sua visita a Lucca nel 2018 reduce della ww2 (foto Paolo Pacini)

Ivan J. Houston durante la sua visita a Lucca (foto Paolo Pacini)

«Nessuno di noi dimenticherà la notte del 23 agosto 44, quando ci preparammo per entrare in battaglia per la prima volta, vicino Pontedera lungo l’Arno. Eravamo un reggimento di fanteria composto da uomini di colore, in un Esercito Americano dove c’era la segregazione raziale. Avremmo dovuto combattere contro la 16^ Panzergrenadier-Division Reichsführer SS. Eravamo quattrocento uomini di colore, per lo più provenienti dagli stati del sud e di modesta educazione. Eravamo il primo gruppo di uomini e ufficiali che avrebbero dovuto preparare il campo per i restanti soldati della divisione. Tutti i nostri ufficiali superiori erano bianchi e anche loro arrivavano dal Sud (dove ancora la segregazione razziale era la prassi ndr). Gli ‘junior officers’ (capitani e tenenti ndr) erano di colore, ma non potevano impartire ordini ai soldati bianchi. Io speravo di fare la mia parte. Eravamo preoccupati ma non avevamo paura. Non mi è mai passata per la mente l’idea di morire».

Il loro nemico principale fu piuttosto il pregiudizio degli ufficiali bianchi che li comandavano: il generale comandante della divisione, Edward Almond, li accolse così: «Noi non vi abbiamo chiamato. I vostri giornali e politici neri assieme ai vostri amici bianchi hanno insistito per vedervi combattere e io mi impegnerò perché voi combattiate e offriate la vostra parte di vittime». Al termine della campagna d’Italia, i caduti furono più di mille; 3500 furono i feriti e i dispersi. Almond spesso accusò i soldati di colore di scarso coraggio, ma non fu così. Ad esempio a Sommocolonia, un piccolo villaggio nelle montagne intorno a Barga, durante l’«Operazione Wintergewitter» attuata di sorpresa il giorno di Santo Stefano 1944 come disperato ultimo tentativo dei tedeschi di riprendersi quel territorio, il tenente John Fox per fermare l’offensiva chiamò il tiro dell’artiglieria americana sulla sua posizione, sacrificandosi per la riuscita della battaglia. Ivan J. Houston è ancora qui per raccontare di quell’eroismo, dell’attaccamento dei soldati della Buffalo alla terra Toscana, e alla battaglia dei soldati di colore per vincere il pregiudizio e la segregazione in patria oltre che il nemico sul campo. Tiene conferenze, ha fatto valere la sua cultura. Un’arma che per l’affermazione dei diritti e del rispetto umano è stata senz’altro più forte di ogni fucile.

I Fatti della storia

Buffalo Soldiers, ossia Soldati Bisonte, è un soprannome, conferito originariamente ai membri del 10° Reggimento di Cavalleria dell’Esercito degli Stati Uniti dalle tribù dei Nativi Americani contro cui combattevano. Il reggimento fu creato il 21 settembre 1866 a Fort Leavenworth, Kansas.

Anche se durante la Guerra di secessione molti reggimenti afroamericani furono reclutati per combattere a fianco dell’Esercito dell’Unione (inclusi il famoso 54º Reggimento di Fanteria di Volontari del Massachusetts e i numerosi Reggimenti delle United States Colored Troops), i “Buffalo Soldiers” furono riconosciuti dal Congresso come i primi reggimenti integrati in tempo di pace nell’Esercito regolare statunitense composti interamente da afroamericani.

La 92nd Infantry Division (92ª Divisione di fanteria) formata solo da soldati afroamericani, assunse il soprannome Buffalo Soldier che i nativi americani avevano conferito, durante le guerre indiane, ai soldati di colore.

Fu attivata per la prima volta nell’ottobre 1917 a Camp Fuston in Kansas per partecipare alla Prima guerra mondiale, tornata dalla Francia negli Stati Uniti nel febbraio 1919 venne disattivata a Fort Meade in Maryland.

Il 15 ottobre 1942, sempre come unità segregata, fu riattivata durante la mobilitazione successiva all’entrata in guerra degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, venendo organizzata a Fort McClellan in Alabama. Dopo aver partecipato ai combattimenti in Italia venne disattivata il 15 ottobre 1945.

(foto in evidenza: National Archives)

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Seconda guerra
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