Pearl Harbor, le grandi battaglie della seconda guerra mondiale

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Pearl Harbor, la baia che racconta la storia. E’ uno dei luoghi simbolo della seconda guerra mondiale.

Un luogo della memoria collettiva Americana, dove si ritrovano non solo il memorial dell’Arizona coi segni della sconfitta che mise in stato di choc gli americani, ma anche i segni della vittoria finale; sul ponte della corazzata Missouri, alla fonda proprio a Pearl Harbor, il 2 settembre 1945 il Giappone firmò la resa incondizionata che sanciva la fine della II guerra mondiale. Sbarcando dalla nave della marina militare americana che porta i visitatori nel mausoleo dell’Arizona Memorial, la quiete è assoluta. E sembra quasi di capirli, quei marinai che il 7 dicembre del 1941 erano tranquilli nelle loro basi, o nelle navi americane alla fonda nella baia delle perle: un attacco nemico in quel paradiso era a dir poco impossibile. Eppure sembra anche di sentirli, quei bombardieri e caccia giapponesi che arrivarono all’improvviso, squarciando il cielo per seminare morte e distruzione. Solo nell’Arizona morirono in 1177. Ancora oggi riposano in quella bara d’acciaio semi sommersa. Dai serbatoi, goccia dopo goccia, esce il carburante e sale al mare, quasi a testimoniare che quella corazzata è cosa viva, è lacrime e sangue di quei caduti e dei loro familiari.

I fatti della storia: Pearl Harbor

Questo è Pearl Harbor ieri. L’attacco fu il primo vero esempio di moderna strategia militare. Il 7 dicembre 1941, 350 aerei giapponesi tra bombardieri e caccia ‘Zero’, annichilirono la flotta Usa nel Pacifico, causando oltre 2000 morti, affondarono, distrussero o danneggiarono 22 navi, lasciarono a terra per sempre 151 aerei. Gli Stati Uniti seppero riprendersi con uno sforzo bellico fuori dal comune. Ma la riconquista delle isole del Pacifico fu comunque sanguinosa ed ebbe come epilogo lo sgancio dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki.

Pearl Harbor, parco nazionale della memoria

Pearl Harbor oggi è un parco nazionale della memoria, dove si arriva con curiosità e si esce con commozione. Tante cose da vedere, tanti video e testimonianze che aiutano a capire come siano maturate le condizioni per l’attacco giapponese, e come gli Stati Uniti abbiano sottovalutato la possibilità di subire una così massiccia incursione sul proprio territorio nazionale. A fare da contraltare alla memoria dell’attacco del 1941, c’è il pezzo più pregiato della vittoria: accanto all’Arizona Memorial è ormeggiata la corazzata Missouri, un pezzo di storia patria, la battleship della vittoria. Sul ponte della Missouri, il 2 settembre del 1945, il Giappone firmò la resa incondizionata davanti al Generale MacArthur. Il Japanese Instrument of surrender, come è scritto nel documento (una copia) esposto sul ponte della corazzata, venne sottoscritto al termine di una cerimonia durata 23 minuti e trasmessa via radio in tutto il mondo. La prima firma fu quella del ministro degli esteri giapponese Mamoru Shigemitsu “per comando e in nome dell’Imperatore del Giappone e del Governo Giapponese”. Successivamente venne firmata dal generale Yoshijiro Umezu “per comando e in nome dei quartier generali imperiali giapponesi”.

In più c’è un museo dell’aeronautica con aerei dell’epoca (anche qualche altro velivolo passato alla storia dell’aviazione americana contemporanea) e il sottomarino Bowfin che, dopo l’attacco nipponico, ebbe il compito di pattugliare la baia per evitare nuove incursioni. Per prezzi e orari delle visite, c’è un sito di riferimento.

Mighty Mo, la battleship Missouri

La Missouri è ormeggiata nella baia di Pearl Harbor ed è stata l’ultima corazzata costruita dagli Usa. Si tratta di un mastodonte d’acciaio con una stazza di 58.000 tonnellate, e una lunghezza di 270,43 metri. Fu varata il 29 gennaio 1944; il suo ultimo impiego fu nella prima Guerra del Golfo. Nel marzo del 1992 ha terminato il suo servizio e nel 1999 è diventata un museo, gestito dalla Uss Missouri Memorial, associazione di volontariato non supportata da finanziamenti del governo americano. Il memorial di Pearl Harbor è visitato ogni anno da oltre due milioni di persone. E’ un esempio di memoria condivisa, visto che molti dei ‘non americani’ a varcare quella soglia sono giapponesi. Che trovano patriottismo americano, ma anche un approccio alla storia non di parte. Lo testimoniano per esempio le mostra periodiche sui kamikaze, organizzate con il museo giapponese di Chiran, la località dalla quale partivano gli aerei destinati ad attacchi suicidi. In mostra le lettere dei piloti in procinto di volare verso le missioni senza ritorno, i loro volti, i regali che i familiari davano loro in segno di riconoscenza.

Una toccante rappresentazione della guerra e dei suoi orrori, ma con un approccio ‘critico scientifico’ alla storia, senza troppo calcare la mano sulla distinzione tra vincitori e vinti. Il motivo di tanta presenza è facile da spiegare. Le Hawaii sono abitate da una folta colonia giapponese. E non si tratta solo di residenti stanziali.

I nippo americani

Molti nippo americani arrivarono qui per essere ‘concentrati’ in un campo alle porte di Honolulu. La decisione segregazionista, fu presa dagli Usa proprio dopo l’attacco di Pearl Harbor. In quel campo, così come negli altri organizzati negli stati dell’Unione, non mancarono gli atti di razzismo e le discriminazioni, vista la forte ondata di indignazione successiva all’aggressione imperiale. Non ci furono episodi analoghi segnalati per esempio per folte comunità italiane o tedesche. Eppure i nippo americani dettero comunque il loro contributo in guerra arruolandosi nel battaglione che venne costituito alle Hawaii; furono mandati sul fronte europeo, combattendo tra gli altri luoghi, anche in Toscana e sulla linea gotica.

Per chi arriva, massima attenzione alle norme d’ingresso. La sicurezza all’interno del sito simbolo per gli Usa è scrupolosa e le regole sono fatte rigidamente rispettare. I visitatori debbono lasciare gli zaini nelle loro vetture (i parcheggi gratuiti sono controllati e sul perimetro della base) oppure in un apposito guardaroba. Nell’area museale si può entrare solo con macchine fotografiche e bevande. Ma non basta. Per salire sull’imbarcazione che porta all’Arizona memorial l’unica cosa da bere ammessa è acqua in contenitori trasparenti. Gli spostamenti all’interno delle zone di terra del museo avvengono attraverso navette gratuite. Bandite le auto private.

Le regole sono rigide, ma la visita vale la pena. Perché è un tuffo emozionante nella storia

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Seconda guerra
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