Fosse di Kirov, 12 nostri caduti tornano a casa

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Ritirata di russia (foto Wikipedia)
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Fosse comuni di Kirov, i resti di 12 caduti italiani tornano a casa. Saranno sepolti nel sacrario di Cargnacco in Friuli. Troveranno pace, dopo quasi ottant’anni di oblio.

Solo due su 12 sono stati identificati, un alpino della Julia e un commilitone della Cuneense. Un piastrino era cucito agli abiti, emersi durante lo scavo della fossa comune.

Lo scavo dei resti dei caduti italiani a Kirov in Russia (foto ministero della Difesa)

(foto ministero della Difesa)

La campagna di ricerca dei nostri caduti è seguita dai volontari di tre associazioni italiane, la Gotica Toscana di Scarperia, Linea Gustav di Cassino, il Museo della seconda guerra mondiale di Felonica (Mantova). La supervisione, le operazioni di identificazione e tumulazione sono di Onorcaduti, l’organismo del ministero della Difesa che si occupa di tenere viva la memoria dei nostri soldati.

Dopo la prima campagna di scavo, sono stati trovati i resti di 1600 caduti, nella stragrande maggioranza dei casi non è stato possibile risalire alla loro nazionalità. Per tutti i soldati non identificati, è stata predisposta la sepoltura in un cimitero dedicato ai prigionieri di guerra poco distante dal luogo del ritrovamento. L’inumazione è avvenuta nel luglio scorso con una cerimonia alla quale hanno preso parte anche rappresentanti del ministero della Difesa.

I prigionieri di guerra a Kirov

Lo scavo dei resti dei caduti italiani a Kirov in Russia (foto ministero della Difesa)

(foto ministero della Difesa)

La fossa, o meglio le fosse, realizzate a ridosso della ferrovia Transiberiana vennero scavate per dare sepoltura alle migliaia di prigionieri di tutte le nazionalità belligeranti contro l’unione Sovietica (tedeschi, italiani, rumeni, ungheresi, belgi, francesi, norvegesi, ecc…) che perdevano la vita sui treni che dall’area di Stalingrado rientravano dopo aver trasportato munizioni e armamenti al fronte. I prigionieri di guerra arrivavano a Kirov per lavorare. Si trattava infatti di una città industriale a 800 km a est di Mosca oltre il raggio d’azione dei bombardieri dell’Asse, nella quale si producevano armamenti e munizioni come i famosi lanciarazzi Katyusha, i mitra PPSH, i carri armati T34, spediti nell’inferno di Stalingrado via treno.

Kirov rappresentava inoltre una importante retrovia dove vennero locati ospedali militari, sistemati nelle aree periferiche della città, per curare sia militari sovietici che prigionieri da avviare al lavoro, motivo per cui ad essi era comunque riservato un buon trattamento. Oggi i siti dove sorgevano gli ospedali sono riconoscibili grazie ai numerosi cippi dislocati in città in memoria dei deceduti. Il tifo, il gelo e la denutrizione mietevano numerose vittime tra i prigionieri durante il viaggio in treno, ed allora i deceduti venivano spostati dai vagoni da trasporto agli ultimi vagoni dei convogli. Questi erano sganciati in corrispondenza delle fosse dove i contadini russi provvedevano ad una rapida sepoltura per paura di epidemie.

Lo scavo dei resti dei caduti italiani a Kirov in Russia (foto ministero della Difesa)

(foto ministero della Difesa)

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Seconda guerra
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